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Il 3 gennaio 2019 ho fatto un ivg.
L’ivg, per chi non lo sapesse (io all’epoca non ne avevo idea) è l’interruzione volontaria di gravidanza. Vorrei usare questo termine, poiché la parola aborto, a mio parere rende il tutto più triste e soprattutto violento di quanto in realtà sia stato.
All’epoca frequentavo un ragazzo da circa 4 mesi, e purtroppo affrontare un problema del genere ad un’ età così giovane e all’inizio di una relazione crea inevitabilmente tanti problemi.
Non penso sia necessario specificare la mia estrema attenzione nell ‘evitare rischi simili, quindi l’ultima cosa che avrei mai immaginato era di rimanere incinta.
Il giorno che lo scoprii era a ridosso del natale, c’era una bella atmosfera, andava tutto per il meglio : a breve sarei tornata a casa dai miei genitori, si organizzavano le feste di natale con amici, si andava ai mercatini di natale. Insomma tutto molto spensierato.
Il mio ciclo ritardó di qualche settimana, all’ inizio non diedi peso alla cosa poiché mi era già capitato in passato avendo un ciclo molto irregolare. Dopo quasi 3 settimane decisi di fare il test. Me lo ricordo come se fosse oggi. Contattai le poche amiche che sapevo avessero un po di esperienza in questo campo , chiesi qualche parere e mi diressi in farmacia a comprare il test.
Devo essere onesta, provai vergogna, vergogna a chiedere in farmacia un test di gravidanza, come se fosse una colpa. Già in quel momento capii che sarebbe stato un problema che avrei affrontato da sola perché purtroppo la faccia ce la dobbiamo mettere noi donne . Feci il test a casa del mio ragazzo. Ero sola in bagno. Quando vidi comparire la prima tacca rosa sul test iniziai a pregare che non comparisse la seconda. Purtroppo, anche se molto leggera, comparve anche la seconda. Mi crollò il mondo addosso. Non pensai a nulla. Nella vita ho sempre saputo, bene o male, cosa fare in diverse situazioni critiche, in quel momento non riuscii a pensare a nulla se non restare lì seduta e non fare assolutamente niente . Dopo un po uscii dal bagno e lo dissi al mio ragazzo. Lui mi guardó per un periodo di tempo che mi sembrò infinito. Non disse una parola. Mi prese la mano, e in quel momento sentii un po di conforto. Poi disse questa frase “io non posso prendermi la responsabilità di una cosa simile”. Questa frase mi rimarrà impressa per sempre. Io avevo già preso la mia decisione , non lo avrei voluto tenere per vari motivi che non spiego qui, poiché una scelta del genere non va assolutamente giustificata. Ma quando sentii quelle parole non riuscii a crederci. La responsabilità non si può prendere o no, la responsabilità si crea nel momento in cui due persone commettono un errore. Quella sera dormii da sola, nella mia stanza del dormitorio e non riuscivo a capire poiché tutto ciò stesse succedendo a me.
La mattina dopo feci il secondo test che confermò la cosa e decisi di chiamare mia madre. Fu molto comprensiva, mi chiese solamente se fossi sicura della mia scelta e mi disse che come tutti i problemi si sarebbe risolto in un modo o nell’altro e che non mi sarei dovuta preoccupare di nulla perché lei e mio padre mi avrebbero supportata a prescindere. Quando tornai a Roma feci tutte le visite necessarie e mi rivolsi alla clinica per le donne di Roma per effettuare l’ivg con la pillola RU 486. Prima di affrontare “l’intervento” vengono concessi per legge 7 giorni di riflessione per poi essere sicure della scelta. Furono 7 giorni pesanti, mi sentivo come in un limbo, sapevo che la mia scelta era quella giusta per me ma ovviamente non mancarono i sensi di colpa . A molti può sembrare una scelta egoista, ma finché non la si vive in prima persona è difficile comprenderla . Quella settimana sembrò infinita, tra l’altro avrei dovuto anche “festeggiare” l’inizio del nuovo anno, un anno pieno di speranza, che di sicuro non stava iniziando per il meglio.
Nonostante tutto decisi di andare ad una festa a casa di amiche, nessuno conosceva la situazione e per una sera mi allontanai dal problema come se non fosse una cosa mia. In tutto ciò il mio ragazzo provó a starmi vicino, a modo suo, ma non capiva proprio la gravità della cosa e la fece sempre passare come una mia responsabilità. Dovetti chiedergli io di venirmi a trovare a Roma (lui vive in un’altra città) ma ottenni solamente un pomeriggio con lui da turista tra il Colosseo e castel Sant’Angelo. Non era ciò di cui avevo bisogno. Non fu lì con me il giorno più importante e spaventoso della mia vita. Li per lì non diedi assolutamente il peso giusto alla sua immaturità nell’affrontare la situazione e ancora oggi me ne pento. Il giorno 2 gennaio andai in clinica a fare gli ultimi controlli e purtroppo scoprii che a causa di problemi respiratori e cardiaci pregressi non potevano correre il rischio di darmi la pillola abortiva, poiché rischiavo la vita. L’unica alternativa era l’intervento. Non è un raschiamento, è una procedura davvero poco invasiva ma potete immaginare quanto fossi spaventata. Il giorno fissato andai con mia mamma in ospedale per il ricovero. Ero distrutta, non avevo dormito per l’ansia e mi era stato vietato di bere e mangiare fino a 15 ore prima dell’ intervento a causa dell’ anestesia. Mia mamma non entró con me in camera, non era concesso. Da quel momento ero veramente sola. Entrai nella camera vidi il mio letto, con un camice una cuffietta ed un braccialetto, senza dire una parola iniziai a prepararmi. Non ricordo come mi sentissi al momento, penso che la paura avesse inibito qualsiasi sensazione, volevo solo che la cosa finisse al più presto. Dopo qualche ora mi vennero a prendere con una sedia a rotelle, non so perché ma quella sedia a rotelle mi spavento da morire : era arrivato il momento. Mi portarono in sala e mi ricordo che all’ ingresso della sala un medico provò a confortarmi parlando del più e del meno, del resto per loro era una cosa abituale. Io risposi in modo assente, e tremavo, tremavo per il freddo della sala operatoria e per la paura. Misero una canzone di grease, e vidi i medici iniziare a preparare la sala e gli strumenti. Entrai, mi sedetti sul lettino operatorio, misi i piedi nelle staffe e dopo 3 minuti ero già sedata. Mi risvegliai dopo 15 min al termine dell’intervento e piansi, piansi di felicità perché era tutto finito.
Vorrei aggiungere una nota positiva a tutto ciò. Lo staff della clinica si comportó in maniera esemplare, non mi fecero minimamente pesare la mia decisione e si presero cura di me come una madre farebbe con una figlia. Penso che in queste situazioni trovarsi a proprio agio aiuti moltissimo, per questo motivo non vivo l’intervento come un’esperienza traumatica. La cosa che mi pesó di più è stato l’atteggiamento assente e irresponsabile del mio ragazzo. Non so come ma in quel momento lo perdonai , perché avevo bisogno di avere qualcuno accanto al ritorno all’università, ma fu una pessima scelta perché ormai il problema lo avevo affrontato con le mie forze e lui non poteva fare più nulla per cambiare le cose. Se tornassi indietro forse proverei ad esternare di più il mio dolore, ma in quel momento, presa dalla paura il dolore è l’ultima cosa a cui pensi. Ho raccontato questa mia esperienza affinché possa essere soprattutto d’aiuto ad altre ragazze che sfortunatamente si trovano a dover affrontare una situazione simile. All’epoca mi sarebbe stato di grande aiuto leggere storie di mie coetanee per rendermi conto di non essere sola.
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