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L’estate dopo gli esami di terza media avevo 13 anni. Ero in vacanza, al mare, con la mia famiglia e un mio amico di scuola da molto tempo. Mamma mi aveva raccontato che sua mamma le aveva detto che lui non aveva voluto fare nessun altro “campo estivo” quell’estate, ma che aveva accettato di venire lì dove ero io. Avremmo fatto insieme una settimana di campo estivo avendo come base la casa che la mia famiglia prendeva all’epoca in affitto. E lui aveva accettato. Quando ha accettato di venire io ero molto contenta anche se, oltre a dire “sì mi va che venga” non ho partecipato per niente all’organizzazione. Ma il nostro rapporto era così, non parlavamo molto e non facevamo nulla attivamente per trovarci a passare il tempo insieme, capitava e basta. E così anche quella volta. Lui aveva accettato (non ero stata io a chiederglielo) e io ero contenta che venisse, perché mi piaceva passare il tempo insieme e mi sentivo anche un po’ orgogliosa del fatto che tra tante cose avesse scelto proprio di venire lì, avesse scelto me anche se sempre in modo indiretto. Ma non lo avrei mai detto. La routine quotidiana in quei giorni consisteva nello svegliarsi, mamma ci portava al campo velico e, verso le 4 credo, ci veniva a riprendere a me, lui e mio fratello. La giornata al campo estivo passava normale, chiacchierando, andando in barca e giocando a carte dopo pranzo. Dei momenti tranquilli in cui stavamo a casa non ricordo quasi nulla. Ricordo bene però quello che è successo una di quelle notti. Non ho idea di che ore fossero, se mi ero appena addormentata o se fosse notte fonda, ma non ha importanza. Ricordo di essermi svegliata perché c’era qualcosa, qualcuno, che mi stava toccando. Non toccando a caso, stava toccando la mia vagina. Ricordo vagamente, credo, una torcia accesa ma debole. Mio fratello, nella stessa stanza, dormiva. Mi ha toccato una e più volte. Io non sapevo cosa fare: ero sveglia ma non mi sono mossa, non ho parlato, ho fatto finta di dormire. Ma la cosa continuava. Era estate, avevo un pigiama corto, mi ricordo ancora quale: lilla con un canguro che saltava sulla maglietta. La maglietta con le maniche corte e i pantaloni corti ma larghi, così come sono i pigiami estivi. Ha potuto quindi infilare la sua mano senza ostacoli e toccarmi. Non so quanto sia andato avanti ma penso non molto perché dopo un po’ che ero sveglia e paralizzata, senza sapere come reagire, ho cercato di fare qualcosa. Ma non volevo assolutamente che sapesse che ero sveglia. Ho iniziato piano con piccolissimi, impercettibili movimenti a spostarmi, forse a girarmi, non mi ricordo. Era estate, faceva caldo e il lenzuolo non mi stava coprendo. Ho iniziato a muovermi e a trovare piano piano il lenzuolo e ancora più piano sono arrivata a coprirmi con quello. Ma nel mentre penso lui continuasse, sono passati un po’ di anni ormai, non mi ricordo ogni cosa. Ricordo che il tocco c’è stato, più volte sicuramente e che io non riuscivo a capire davvero cosa stesse succedendo, lo capivo ma non me ne capacitavo. Toccava con un dito le piccole labbra, la parte bagnata, solo superficialmente, senza farmi male e senza forza. Avvolta nel lenzuolo dopo del tempo, non saprei ricordarmi se tanto o poco, mi sono riaddormentata. La mattina dopo, svegliandomi, mi è tornato in mente subito. Quella giornata è passata in modo strano ma non la ricordo neanche troppo bene. Ricordo che ho chiesto a mamma di dormire in un’altra stanza, non mi ricordo quale motivo ho detto, forse nessuno, forse se dovessi farlo adesso direi il caldo e magari pensavo così anche allora. C’era un’altra stanza ancora nella casa in cui, quando veniva, dormiva nonna. Quella settimana c’era anche lei. C’era un letto libero e sono andata a dormire lì. Non volevo dormire nello stesso letto della sera precedente. Quella sera ero agitata e mamma o nonna mi hanno fatto una camomilla per rilassarmi e per andare a dormire più serena. Ricordo, più o meno, l’agitazione. Non sapevo bene come interpretarla: avevo paura che accadesse di nuovo? Avevo paura di doverne parlare? Avevo paura di quello che avrebbe potuto pensare lui? O cosa gli avrebbero detto se qualcuno lo avesse scoperto? Tutte queste cose sicuramente, ma in modo confuso. E poi non riuscivo a capacitarmene, non riuscivo a capire come gli fosse venuto in mente e perché lo avesse fatto. La notte dopo quindi sono andata a dormire nella stanza con nonna. Durante la notte mi sono svegliata perché c’era una luce più o meno in corrispondenza della porta della stanza. Una torcia di nuovo. Ho pensato fosse lui e probabilmente lo era. Ho il dubbio perché c’era la porta del bagno vicino a quella della stanza dove ero io. E in quel momento ero sicuramente più soggetta a pensare fosse lui. Mi ricordo però una luce fissa nella direzione della stanza. Ancora, di quella settimana ho un altro ricordo: mi stavo facendo la doccia quando ho alzato lo sguardo e lì dall’altro lato della porta del bagno (che aveva la parte centrale semitrasparente) c’era una persona in piedi. Me ne sono accorta e di nuovo non sapevo che fare. Sono rimasta per un po’ interdetta, poi ho chiuso l’acqua della doccia e ho guardato verso la porta. Deve essersene accorto perché a quel punto si è allontanato. Non ho altri ricordi di quella settimana.
Non ho mai raccontato a nessuno fino ad ora la storia in modo completo e lineare. Per molti anni non ne ho parlato proprio. Tre volte ne ho parlato fino ad oggi. La prima ne ho provato a parlare con una mia amica. Forse stavamo parlando di lui o di qualcosa di simile. Ho provato ad introdurre l’argomento ma prima di iniziare di fatto ho interrotto la narrazione: non riuscivo a pronunciare la frase. Devo aver deviato il discorso. Per molto tempo ho avuto, indipendentemente da questo, difficoltà nel parlare di quello che mi riguarda in generale. Provavo ad iniziare un discorso e poi le parole sparivano. Anche per cose molto poco rilevanti. Lo sa bene chi ha provato a farmi parlare per anni e chi si è sentito una descrizione di una stanza nei minimi particolari prima che io riuscissi ad arrivare al punto centrale della storia. È un’altra storia, non questa, ma correlata. L’anno successivo io e i miei fratelli siamo andati a dormire a casa sua perché i nostri genitori erano fuori Roma. Durante quell’anno avevamo passato molto tempo insieme. Senza mai fare riferimento a quel periodo estivo. Abbiamo studiato insieme, ci siamo visti più volte. Fuori scuola, nei pomeriggi, eravamo amici. A scuola mi sembrava che mi ignorasse. A me lui piaceva, mi faceva ridere e passavamo bene il tempo insieme. Non pensavo mai a quello che era successo. E se ci pensavo mi sembrava finto, non reale, sono arrivata a dubitare sia mai accaduto. Così ero contenta quando l’anno successivo siamo andati a dormire lì. Il posto dove dormivo io era accanto al suo. Mentre dormivo ho sentito qualcosa che mi sfiorava la guancia. Era la sua mano, una volta. Anche questa volta ho continuato a fare finta di dormire, non sapevo come reagire. Non c’era solo lui nella stanza e io avevo paura che gli altri potessero sapere. Dentro di me però ero contenta di questa cosa. Non pensavo a quello che era già successo e a come fossi preoccupata l’anno prima, lo avevo cancellato. Non è successo più nulla poi. È finita la scuola, c’è stata l’estate. L’anno dopo a scuola non ci siamo più parlati praticamente.
La seconda parte della storia la conoscono ormai diverse persone. Ora riesco a parlarne quasi in modo normale. Ma ci ho messo del tempo per poterlo fare. Non è stato facile, non riuscivo a fare uscire le parole dalla mia bocca. Ma la parte dell’anno precedente no, non la ho raccontata se non in quelle tre volte. La seconda volta che ne ho parlato era verso la fine dell’ultimo anno di liceo. Erano passati quasi cinque anni ed è stata la volta in cui ne ho parlato meglio fino ad ora. Ho provato a raccontare ad un mio amico quello che era successo quel giorno. Non perché ci pensassi spesso, non lo facevo, ma perché era l’unica cosa forse che non avevo mai detto a nessuno e forse avrei voluto. Lui mi aveva appena raccontato delle cose molto personali che lo riguardavano e di cui ancora non aveva parlato con nessuno e sull’onda di questo gli ho raccontato di quella settimana. Anche qui però non molto in modo lineare o approfondito. Non so se ho mai detto la frase “ha toccato la mia vagina”. Sempre con perifrasi o con racconti presi molto alla lontana. Insieme poi ne abbiamo parlato con un’altra amica pochi giorni dopo credo. Anche lì non so, forse, hanno parlato più loro di me cercando di capire la situazione. Io rispondevo alle domande che mi facevano ma non ne parlavo direttamente. Quella è stata l’ultima volta che ne ho parlato.
Durante gli anni non ci ho pensato spesso, anzi. Non ho mai considerato questa cosa, la avevo quasi cancellata, come dicevo prima, dubitavo della sua esistenza. Non ritenevo la cosa di alcuna importanza. Né mi ritenevo particolarmente colpita, segnata. C’era solo questa cosa che non riuscivo a parlarne. Ma era normale così e di non parlarne avevo deciso. Avevo deciso fosse una cosa passata, una cosa irrilevante. Non volevo darle più importanza nella mia vita di quella che avesse davvero. Avevo paura di attribuirei miei problemi con l’intimità fisica a questa cosa e così di lavarmene le mani. Non volevo che la difficoltà che ho nei rapporti fisici fosse associata a questo perché non pensavo e non penso del tutto anche ora che lo sia. Io ero così anche prima, timida, distante e insicura. Non volevo che le persone pensassero che fosse questo il motivo, né volevo pensarlo io. Mi sembrava come arrendermi. E quindi la ho ignorata del tutto. C’è un altro motivo per cui non ne ho mai parlato e lo riconosco solo ora: mi vergognavo. Mi vergognavo di quello che era successo, non avrei mai voluto descriverlo a nessuno, non mi sembrava compatibile con la mia vita. Ma mi vergognavo anche perché lui è stata la prima e quasi l’unica persona fino ad ora che mi sia “piaciuta” e la prima per cui, non senza difficoltà, ho ammesso questa cosa. Me ne vergognavo perché mi sembrava impossibile che fosse accaduto, perché sapevo che era sbagliato e che tutte le persone che lo avessero saputo non lo avrebbero più considerato allo stesso modo. O almeno credo. E quindi, tra il non riuscire a parlarne e il non volerne parlare, non volerlo rendere reale, non considerarlo reale non lo ho mai fatto davvero. Ma la cosa che mi sembra più assurda in questo momento, ma è anche cosa per cui posso comprendermi, è che non volevo che le persone lo vedessero sapendo questa cosa. Mi vergogno del fatto che, nonostante questo, e dopo di questo io potessi dire che era la persona che mi “piaceva”. Ma il nonostante questo non esisteva sempre: come dicevo prima, spesso non mi sembrava essere accaduto e, in più, ho difficoltà nell’associarlo a lui. Ora penso anche che il fatto che dicessi che lui mi “piaceva” sia stato in realtà a causa di una serie di questioni che non hanno mai avuto una fine, che sono rimaste irrisolte e non spiegate. Quello che ora vorrei capire è quanto abbia impattato su di me. Fino ad ora pensavo poco, la consideravo una cosa irrilevante e di un tempo passato molto tempo fa della mia vita, archiviato. Circa tre settimane fa, più o meno quando ho iniziato a scrivere questo testo, mi sono svegliata con questo ricordo nella testa in modo molto vivido, come non mi è quasi mai accaduto. E ci ho ripensato più a fondo e per molto più tempo, vedendolo, per la prima volta forse, come qualcosa di sbagliato e, soprattutto, qualcosa che era successo a me proprio e non ad una qualche persona vissuta circa 8 anni fa. È rimasto come pensiero fisso per qualche giorno e ho provato ad accennarlo all’amica con cui ne avevo già parlato, senza specificare l’argomento ma solo cercando di capire cosa ricordasse. Non ero stata affatto esplicita all’epoca e, infatti, non ricordava molto. Mi ha detto però che una nostra amica, pochi giorni prima, le aveva parlato dello stesso tema, di abusi, se così vogliamo chiamarli, attività non consensuali sessuali nei confronti di donne. Ma non di donne in generale, di sue amiche. La coincidenza mi ha colpito tantissimo e pochi giorni dopo ho parlato anche io con lei, senza dirle che stavo iniziando a pensare di avere anche io una storia, era ancora troppo fumosa. Mi sono però messa a scrivere e così sto cercando di fare anche adesso, sto provando a scrivere le cose per come mi vengono in mente in un testo che non so bene se sarà per me o per gli altri. Comunque, lei mi ha raccontato di aver iniziato a parlare con delle sue amiche e a raccogliere le loro storie e mi ha colpito tantissimo perché praticamente ogni persona con cui ha parlato ha una storia da raccontare. Una storia di una situazione di abuso più o meno grave (che comunque è relativo al sentire di quella persona). È un po’ come se fosse diventato all’improvviso reale e tutto intorno a me: persone che conosco, amici di persone che conosco e io stessa in qualche modo facciamo parte di quello stesso gruppo. E questo, di fatto, perché siamo donne. Sembra stupido da dire ma non lo avevo mai visto così chiaramente.
Mentre scrivo questo testo combatto con lo stesso pensiero che c’è da anni: è una cosa irrilevante, la hai già dimenticata e superata anni fa (otto anni non sono pochi per una cosa così piccola, c’è stato tutto il tempo per metabolizzare e superarla), cosa vuoi che sia, non ha alcun significato, vuoi solo attirare l’attenzione su di te, far capire che anche tu hai vissuto delle cose strane, stai facendo proprio quello che poco fa dicevi di non voler fare ossia giustificare il tuo rapporto con l’intimità fisica con questa cosa, te ne stai lavando le mani, ti sei immaginata tutto. Queste ultime righe sono state e sono i miei pensieri per la maggior parte del tempo. Ma poi ogni tanto penso che forse è una cosa strana, che forse non è proprio normale che quando hai 13 anni un tuo amico, una notte, mentre dormi, decide che è il momento di toccare i tuoi genitali, ma pensando cosa poi, che non me ne sarei mai accorta? Questa è un’altra grande domanda nella mia testa: per molti anni il centro dei pensieri riguardo questo evento sono stati: ma lui se ne ricorda? Se lo fermassi ora per strada, se lo chiamassi e glielo dicessi lo ricorderebbe? E inoltre, ha mai ipotizzato il fatto che fossi sveglia o che potessi essermi svegliata? Non posso pensare di no, mi sembra davvero impossibile. E allora, e in ogni caso, perché lo ha fatto? Ne aveva voglia, è l’unica risposta che ho trovato. E poi? E le conseguenze? E se io avessi avuto un po’ più le palle e mi fossi svegliata per davvero, e se ne avessi parlato con qualcuno non dico sul momento ma magari ecco l’anno successivo? Non poteva pensare fosse una cosa normale, come lo avrebbe giustificato?
Non pensavo spesso a questa cosa e non gli attribuivo/attribuisco alcun significato. Però, per la prima volta, ho pensato che potrebbe magari in qualche modo avere a che fare con il mio rapporto con l’intimità fisica. Sembra un po’ come se avessi fatto 1+1 ma realmente non ci avevo mai pensato per bene prima, tanto non la consideravo come cosa. E non è che ora io abbia cambiato idea. Sto iniziando a pensare che le cose potrebbero essere più collegate. Così come sto iniziando a visualizzare il fatto che il mio rapporto con l’intimità fisica non è normale. Per quanto normale in questo caso sia una cosa oltre al relativo. Ma del fatto che non sia normale mi interessa fino ad un certo punto. Sto più che altro capendo che non è come vorrei che fosse, che non mi sento a mio agio come vorrei, che c’è qualcosa che mi tiene incastrata, che mi blocca e vorrei capire cosa è. Sono io in generale? Può questa cosa esserne in qualche modo parte? Ora come ora direi di sì. Ma non perché io abbia cambiato idea. Ora direi di sì a livello razionale, non per quello che sento. Quello è quasi come prima, solo ci penso molto più spesso. La cosa che è cambiata è che la parte razionale di me sta cercando di capire, visto che, come spesso, la parte emotiva è dispersa. Oppure per lei è tutto irrilevante.
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