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Quando andavo al liceo prendevo l’autobus, andata e ritorno, non sempre la stessa linea, ma in ogni caso era quasi sempre strapieno e si stava stretti come sardine. Tutti si toccavano con tutti e ci si appoggiava gli uni agli altri, ma spesso, molto spesso, direi che capitava quasi ogni giorno, c’erano dei contatti decisamente evitabili. Vecchi e meno vecchi che mi palpavano il culo o le gambe con le mani, oppure quando la situazione “lo permetteva” appoggiavano e strusciavano il loro cazzo dietro o davanti. La gente intorno probabilmente non si accorgeva di niente e se qualcuno si è accorto della cosa non ha detto o fatto niente.
Io non sapevo come reagire, forse ancora adesso che ho quasi 22 anni e una consapevolezza maggiore del peso e del significato delle cose non saprei come reagire. Potevo arrabbiarmi? Certo, ma mi chiedevo se fosse il caso di fare “una scenata” per questa cosa, poi magari disturbavo le altre persone sull’autobus. Potevo dire qualcosa? Certo, ma questo avrebbe significato far sapere a tutto l’autobus che qualcuno mi stava toccando e la cosa mi metteva imbarazzo, probabilmente me lo metterebbe anche adesso. Non ha senso. Perché dovrei essere io quella in imbarazzo? Io di sicuro non ho fatto niente mentre è lui quello che mi ha importunato eppure non mi sentivo a mio agio ad attirare l’attenzione su questa cosa, quindi ho sempre fatto finta di niente perché mi sembrava la soluzione più facile e mi limitavo a lanciare occhiatacce a quello che sapevo o immaginavo (nella ressa a volte era difficile capire di chi fosse la mano) essere la persona che silenziosamente ma costantemente mi molestava. Quando potevo cercavo di sottrarmi spostandomi, ma spesso non c’era spazio per muoversi, al massimo potevo girare su me stessa.
Non capitava solo a me, capitava a tutte le ragazze sull’autobus o almeno capitava a tutte le mie amiche. Se stavamo in gruppo sull’autobus avevamo una parola in codice: “valigetta”, quando una di noi diceva questa parola stava avvertendo le altre che un uomo la stava toccando/palpando eccetera e insieme si cercava la posizione migliore sull’autobus per evitarlo.
Per i primi due o tre anni di liceo, quindi quando avevo tra i 14 e i 16 anni, questa era la prassi, la normalità, poi non so perché hanno smesso. Forse preferivano le ragazzine piccole, forse erano sempre gli stessi due (le facce non le ho mai memorizzate, ricordo che per lo più erano uomini dai 60 anni in su) che per un motivo o per un altro non salivano più sul bus, questo non lo so e non mi interessa.
Mi interessa invece che quasi ogni giorno, voglio approssimare per difetto e limitarmi a dire due volte a settimana, per minimo due anni della mia vita esclusi i mesi di vacanza, quindi diciamo per 8 mesi ogni anno, io mi sono dovuta sorbire qualche uomo che non si sa bene con quale diritto faceva quello che gli pareva con le mie gambe il mio culo e altre parti del mio corpo. E questo è successo almeno 128 volte. 128 volte. Ed io mi posso ritenere una ragazza fortunata, perché questo è considerato il male minore, la normalità. Infatti inizialmente non avevo neanche pensato di condividere qui questa storia, perché rispetto ad altre storie mi sembrava di non raccontare niente di che e comunque anche se già so che li ricorderò sempre, non penso a questi eventi come traumatici.
Ma è giusto che una donna si possa ritenere fortunata perché le è solo successo nella vita di essere molestata sull’autobus 128 volte e questo sia normale al punto che non vale la pena denunciarlo? La risposta è una ed è no e lo sarebbe anche se fosse successo una volta sola. Perché alla fine è sempre la stessa storia. È sempre la storia di un uomo che crede che la donna stia lì solo per dargli chissà che piacere senza minimamente preoccuparsi del fatto che lei possa essere d’accordo o meno. Si sentono evidentemente sicuri che le cose debbano essere così perché altrimenti quelle che sono delle fantasie che ognuno di noi può avere nella testa, loro le rendono un fatto concreto che coinvolge persone reali che non hanno mai chiesto di essere coinvolte. Anche io posso pensare che quel culo di quella persona x incontrata per caso sia molto bello e in una qualche fantasia lo sto toccando, ma c’è una linea che divide la fantasia dalla realtà che non supero perché all’interno di una comunità so bene che la mia libertà finisce dove comincia quella dell’altr* Invece questa linea per l’uomo è molto più labile e lui la sposta dove vuole perché può permetterselo, perché la nostra società, la nostra cultura dell’uomo dominante lo ha permesso per così tanto tempo che la rieducazione ad una diversa forma mentis di cui abbiamo bisogno pare un’impresa titanica.
E non è giusto. Non è giusto che io abbia paura ad uscire la sera da sola e non per il comune timore di essere rapinata, ma di essere stuprata. Voi uomini avete paura di essere stuprati? È giusto che i pezzi di tessuto che metto addosso mi definiscano? Voi uomini siete delle persone noiose e rigide che si dovrebbero lasciare andare se vi coprite troppo, oppure delle puttane che la danno a tutti se vi coprite troppo poco? Non è giusto che io non possa camminare in pace per strada senza sentirmi rivolgere fischi e commenti non richiesti solo perché quando sono nata avevo la vagina invece di un pene. Voi uomini potete andare in giro senza che qualche sconosciut* non riesca proprio a tenersi per sé la prima impressione che fate? Scommetto di no. Queste e infinite altre sono differenze che distinguono l’uomo dalla donna in ogni giorno della nostra vita ma nessuna è dettata dalla biologia che ci rende diversi per forza di cose, soltanto dal modo in cui una collettività ha deciso di pensarsi. Per questo vale la pena raccontare anche una storia “insignificante” come questa, perché magari a forza di parlare di tutto questo come un problema la collettività comincerà a ripensarsi in meglio.
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