Potrei raccontare tante esperienze che mi hanno segnato e forse le parole non basterebbero per spiegare quanto sia stato difficile per me essere stata prima una bambina, poi un’adolescente e ormai una donna. Quando decisi di intraprendere un percorso di analisi, qualche anno fa, ebbi un paio di incontri con un analista di mia conoscenza per essere indirizzata ad una persona di fiducia. Conosceva la storia della mia famiglia e una delle prime cose che mi disse fu: “non deve essere stato facile per lei essere nata femmina”. Fu forse l’unica volta in cui mi sentii veramente compresa da un uomo e riuscii a prendere coscienza del fatto che il dolore che provavo era legittimo, perché fino a quel momento avevo sempre avuto l’impressione che non lo fosse. Sono cresciuta in un contesto fortemente maschilista, un maschilismo che si protrae da generazioni, così radicato da incidere profondamente e silenziosamente sulla sostanza dei rapporti che intercorrono tra tutti i componenti della famiglia e non solo. Tutte le donne che hanno fatto parte di questa storia, comprese quelle che non ci sono ormai più, hanno dovuto trovare con estrema fatica una via per ritagliarsi un proprio spazio nel mondo, talvolta arrivando ad accettare storture di se stesse, divenendo le prime nemiche delle donne, rifiutando di accettare la propria femminilità, rinunciando alla realizzazione professionale. Da adolescente non lo tolleravo, da adulta ho imparato a comprendere quanto sia faticoso il percorso e nonostante i conflitti non manchino, mi sento indulgente e solidale con tutte loro. Ho 30 anni, non sono indipendente economicamente, sono single e non ho ancora completato il percorso di studi che avevo scelto e abbracciato con entusiasmo. Negli ultimi dieci anni ho avuto molti alti e bassi, ho cercato di completare gli studi, lavorando sempre part time per pagarmi le piccole spese e gli studi stessi, ho avuto grossi problemi familiari, ho incontrato tante persone sbagliate, ho subito forme di violenza fisica e psicologica che mi hanno lasciato ferite profonde. Da qualche mese svolgo un tirocinio non retribuito presso un ente importante nel settore di mio interesse e speravo che questo fosse un momento di svolta , ma non è stato così, perché oltre a non aver ricevuto una formazione adeguata e un minimo di rimborso spese per un lavoro praticamente a tempo pieno, ho incontrato l’ennesimo manipolatore, un collega che ha cercato di sfruttare le mie fragilità per ottenere rapporti sessuali da me e colmare le lacune della propria relazione. Quando ho scoperto le sue menzogne e ho preso coscienza che si trattava solo dell’ennesima persona tossica ho reagito e lui, oltre ad aver messo in atto forme di manipolazioni sul piano personale, come il trattamento del silenzio, negazioni del rapporto, negazioni della realtà e delle bugie raccontate, ha iniziato a farmi mobbing sul lavoro, escludendomi da uscite di gruppo, rifiutandosi di collabore sul lavoro, parlando male di me agli altri colleghi e mettendo in atto comportamenti vendicativi. La cosa che più mi ha ferita è stata che la mia storia personale, diversa da quella standard di chi frequenta quel tipo di ambienti lavorativi, abbia fatto sentire questa persona in una posizione di potere e in diritto di privarmi di un valore professionale e umano minimo, legittimando l’idea di potermi muovere come una pedina per i propri scopi. Per questo vorrei ricordare a tutte le donne che leggeranno che le difficoltà del proprio percorso non lo sviliscono e che anzi, indipendentemente dai risultati che si otterranno, gli attribuiscono un valore enorme, di cui è giusto essere sempre consapevoli, indipendentemente da quello che ci faranno credere gli altri.