Quando avevo 17 anni, ho avuto la mia prima relazione seria. Mi disse che mi amava, che avevo le chiavi del suo cuore. Ricordo che quando si arrabbiava lanciava cose in giro, una volta ha tirato un pugno al muro. Un’altra volta ha distrutto il suo guardaroba. Ma pensavo che non mi avrebbe mai fatto del male, perché aveva promesso di amarmi. Non gli piaceva il mio corpo, diceva che il mio culo non era abbastanza sodo. Così sono dimagrita. Ho perso peso finché la gente ha cominciato a chiedermi se ero malata. Quando pesavo 49 chili lui mi disse che stavo molto meglio, diceva che gli piacevano le ragazze magre. Diceva che dovevo essere più indipendente dai miei genitori, che i miei amici erano noiosi. Così mi sono isolata fino ad avere solo lui.
Ricordo che una volta stavamo litigando e lui alzò la mano come se volesse darmi uno schiaffo. Mi sono spaventata, poi mi sono arrabbiata. Gli ho urlato contro, gli ho detto che era un pezzo di merda per avermi intimidito in quel modo. Lui ha risposto urlando, dicendomi che se lo stimavo così poco forse avrei dovuto lasciarlo. Gli ho detto che mi dispiaceva, che l’amavo e che non volevo lasciarlo.
Un’altra volta stavamo per uscire quando ha guardato il mio top e mi ha detto di toglierlo, perché sembravo una puttana. Ho detto no, posso indossare quello che voglio. Lui mi ha detto che non sarebbe uscito con me vestita in quel modo, dopo tutto lo stava facendo per me, in modo che gli altri ragazzi non avessero pensieri strani. Io ho detto di lasciarli pensare quello che vogliono. Lui ha cominciato ad urlare, dicendomi che mi avrebbe lasciato. Risposi che mi dispiaceva, lo pregai di non lasciarmi, gli dissi che lo amavo.
Quando ho rotto con lui ho pianto. Ho pianto perché pensavo che stavo perdendo l’amore della mia vita e che non avrei mai trovato qualcuno che mi amasse quanto lui. Ma ora so che ho pianto per me stessa. Perché mi aveva distrutta e fino all’ultimo momento non sono riuscita a dirglielo. Quando l’ho salutato per l’ultima volta, non mi sono arrabbiata, non gli ho urlato contro, non gli ho chiesto perché mi aveva trattato in quel modo nonostante avesse promesso di amarmi, l’ho solo baciato come se nulla fosse. Lui non saprà mai che quella relazione mi ha segnato per sempre. Che non potrò mai stare con qualcuno senza chiedermi cosa vuole veramente da me – sì, dicono di amarmi, ma è solo una scusa per potermi ferire? Non si scuserà mai né si sentirà mai in colpa per quello che mi ha fatto.
Quando avevo 19 anni, sono andata in vacanza con i miei amici. Siamo andati ad una festa e ho baciato un ragazzo. Lui aveva una macchina e la mia amica stava male, così gli ho chiesto di riportarci indietro. Riuscivo a malapena a capire cosa stava succedendo, ero molto ubriaca. Mi ha portato in spiaggia e voleva fare sesso con me. Ho detto no, non voglio. Non voleva andarsene, così gli ho fatto un pompino. Dopodiché se n’e’ andato. Qualche giorno dopo l’ho incontrato di nuovo, inizio’ ad andare alla stessa spiaggia che frequentavamo io e i miei amici. Ancora una volta dopo una festa siamo finiti sulla spiaggia e ancora una volta ha cercato di fare sesso con me. Ho detto di no. Ha spinto le sue dita nel mio culo e mi ha detto che almeno potevamo fare sesso anale. Gli ho detto assolutamente no. Ha detto che il minimo che potevo fare era fargli di nuovo un pompino, questa volta voleva sborrarmi in bocca. Ho detto che l’avrei fatto, ma che non volevo avere il suo sperma vicino alla mia bocca. Così non mi ha detto quando è venuto. Mentre sputavo la sua sborra nel mare, lui si e’ messo accanto a me e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto fare una cosa a tre con la mia amica. Ho detto che lei non avrebbe mai accettato, aveva più autostima di me. Quando se n’è andato sono tornata nella mia stanza e ho pianto. Probabilmente non ricorda nemmeno il mio nome, “la ragazza che gli ha fatto credere che glielo avrebbe data e poi non l’ha fatto”, probabilmente è così che pensa a me, se pensa a me. Non si scuserà mai per le sue azioni. Ma da allora non sono più in grado di fare pompini. Ogni volta che ci provo, mi sembra di soffocare.
Quest’estate sono andata a una festa. Conoscevamo il proprietario di un pub e lo teneva aperto solo per noi. Ho bevuto due bicchieri di vino e un sorso di prosecco che qualcuno mi ha passato. Una volta arrivata lì, un tizio continuava a darmi delle birre. Ne ho bevute due. Lo conoscevo vagamente, si chiamava F. ed era il migliore amico del mio coinquilino. Dopo un po’ non riuscivo più a stare in piedi. Continuavo a cadere, tutto intorno a me girava. Il mio amico ha dovuto sollevarmi e portarmi in braccio al bagno perché non riuscivo ad andare da sola. L’ho trovato divertente. Per un po’. Non ricordo perché o come, ma stavo barcollando da sola lungo un corridoio e F. si è avvicinato a me. Mi ha spinto contro un muro e ha iniziato a baciarmi. Ricordo che non volevo davvero essere lì, ma non potevo fare nulla. Dopo un po’ mi ha lasciato andare e ho continuato la mia “passeggiata”. Da quel momento in poi non ricordo molto. Sono svenuta nel bagno degli uomini dove i miei amici mi hanno trovata la mattina. Il giorno dopo un ragazzo a caso che era stato alla festa è venuto nella mia stanza e mi ha detto che pensava che fossi stata drogata. Non ci avevo nemmeno pensato fino a quel momento. Ho riso, dicendo che probabilmente avevo solo bevuto troppo. Ma non avevo bevuto così tanto. Dopo tre giorni decisi di andare dal medico. Volevo sapere se era possibile risalire a ciò che avevo preso/se avevo preso qualcosa. Quando sono entrata nella stanza mi ha detto che non era la prima volta che qualcuno veniva con una richiesta simile. Molte ragazze erano state violentate dopo essere andate alle feste. Un uomo aveva persino messo dei sonniferi nel tè di sua moglie e aveva abusato di lei. Tempi folli, disse lei. Era molto apprensiva. Mi disse che dopo tre giorni non si poteva vedere la maggior parte delle sostanze nella pipì, ma che avremmo potuto fare un esame del sangue. Tuttavia, mi ha fatto fare comunque la pipì su un bastoncino, solo per essere sicura. Dopo un po’ mi ha richiamato nel suo ufficio, mi ha detto che era molto dispiaciuta di dirmi che aveva trovato tracce di erba nel mio sangue. Le dissi che lo sapevo, l’avevo fumata io stessa. Mi disse di tornare il giorno dopo per l’esame del sangue. Dopo aver lasciato la stanza l’ho sentita bisbigliare alla sua assistente, si chiedevano se avessi detto la verità. A quanto pare le persone che fumano erba non vengono stuprate. Non sono più tornata per l’esame del sangue.
Non saprò mai cosa è successo quella notte. Mi chiederò sempre se avrei dovuto portare avanti la cosa. Ma forse non era niente. Quello che so è che ancora una volta mi sono sentita come se fossi incapace di fare qualcosa. Non avevo voce in capitolo su quello che mi era stato fatto, ma agli occhi degli altri ero io che mi mettevo in quella posizione, ero io che soffrivo mentre altri continuavano la loro vita come se niente fosse. Sono stanca di aspettare scuse. Sono stufa di aspettare che la gente si renda conto che attraverso le loro azioni mi sono sentita oggettificata, non abbastanza, che non ne “valevo la pena”. Se non ho colpa della mia sofferenza, come mai nessun altro sembra prendersi la colpa?